Il nostro presente è scandito da un tempo meccanico e predefinito. Le giornate sono divise in 24 ore e ogni ora è divisa in 60 minuti da 60 secondi.
Ci svegliamo seguendo un orologio, prendiamo il bus ad un orario specifico, iniziamo a lavorare all'orario esatto, lavoriamo per una quantità definita di tempo, cerchiamo di incastrare doveri, piaceri, passatempo ed incontri nel tempo che ci rimane, dormiamo almeno un ammontare specifico di ore per sentirci riposati.
Avere una convenzione temporale condivisa è sicuramente un vantaggio per molti aspetti della vita in una società capitalista. Essere sinconizzat* ci rende un organismo efficiente in una prospettiva dove l'ottimizzazione della produttività è anteposta al resto.
- Quale sarebbe però il nostro ritmo 'spontaneo' se non avessimo una scansione del tempo comune da rispettare?
- Come ci sentiremmo se non avessimo orari, se non potessimo essere in ritardo, se non avessimo scadenze?
- Quali effetti ha su di noi e sul nostro modo di relazionarli al mondo questo tipo di scansione del tempo?
Abbiamo provato a rifletterci comunicando con il suono dei nostri corpi. Non abbiamo trovato una vera e propria risposta ma abbiamo capito che il vero 'costo' della scansione del tempo a questo modo è la pressione del dover fare anziché del poter fare, la sensazione di disagio del non averne mai abbastanza, dell'aver perso, del perdere.
Diverse persone dicono di sentirsi meglio, libere da molte di queste pressioni, quando sono in vacanza, e spesso associamo questa sensazione al fatto di non lavorare. Ma potrebbe questa sensazione dipendere più da una minore pressione temporale che non dall'assenza di lavoro di per se?
Il lavoro contemporaneo e il tempo sono estremamente congiunti. Forse la suddivisione del tempo in questo modo è direttamente dipendente dalla maniera in cui vogliamo lavorare oggi.
- Bisognerebbe forse rivoluzionare il lavoro per rivoluzionare il tempo? Per toglierci dalle spalle questa pressione?